Cronache di un’eruzione:
la nascita di Monte Nuovo nel 1538
Tratto da: RIVISTA: Ambiente Rischio Comunicazione 5 –
febbraio 2013- Articolo a cura di Roberto Scandone e Lisetta Giacomelli
Pubblichiamo, di seguito, il testo
dell'articolo tratto dalla citata rivista. Si tratta di una
ricostruzione e descrizione, tramite racconti, anche dei fenomeni ed
eventi precursori che portarono all'ultima eruzione conosciuta dei
Campi Flegrei: l'eruzione detta del "Monte Nuovo" del 1538. Vi lasciamo
alla lettura dell'articolo.
"
Nel 1429, la regina Giovanna II
di Napoli concesse all’Ospedale
dell’Annunziata «le terre che
vanno dal Cantarello al mare». Sebbene
fosse noto da tempo, solo recentemente
si è riconosciuto in questo editto
il primo atto ufficiale che testimonia
il progressivo sollevamento del suolo
nei Campi Flegrei che culminerà, oltre
cento anni dopo, nell’eruzione di Monte
Nuovo.
Il Cantarello era una sorgente termominerale
che scaturiva dal lato nord-est
del complesso del Serapeo a Pozzuoli,
dove peraltro ancora oggi si trova. La
sorgente, conosciuta e utilizzata fin dal
periodo romano, era stata poi sommersa
dal mare per effetto del bradisismo
discendente. Nel Medioevo, nonostante
fosse descritta «inter aqua spelagi», la
fonte del Cantarello era ancora frequentata
ma, per impedire che si disperdesse
in mare, l’acqua era raccolta per mezzo
di un contenitore rotondo (cantarello).
Alcune incisioni dei primi anni del
1400, mostrano il bagno del Cantarello
in vicinanza del mare («propinquo a lo
mare»), con le tre colonne del Serapeo
ancora sommerse. L’editto di Giovanna
II, di pochi anni successivo all’incisione,
indica che il sollevamento del terreno
era ormai così avanzato da richiedere
un atto ufficiale che sancisse la proprietà
delle terre emerse.
Analogamente, con un editto del 6 ottobre
1503, «li cattolici Re e Regina
[Ferdinando e Isabella] avevano ceduto all’Università di Pozzuoli lo demanio
della detta Università; quale demanio
è quello che va seccando il mare entro
la terra».
Tuttavia all’inizio del 1500, insieme al
rigonfiamento del suolo, un ancor più
violento fenomeno colpiva l’area di Pozzuoli.
Un manoscritto del 1507 (MsVindoboniensis
3546) descrive i danni causati
da continui terremoti alla chiesa di
San Procolo a Pozzuoli («cetera propter
fracturam ex continuo terraemotu factam»).
La situazione divenne così critica
da costringere il Re Ferdinando a
emettere un nuovo editto, il 23 maggio
1511, in cui si concedevano alla città di
Pozzuoli i territori creati dall’avanzamento
della linea di costa («quoddam
demaniale territorium mare dessiccatum
circum circa prefatam civitatem
Puteolarum») in riparazione dei danni
causati dai terremoti («Cumque universitas
ipsa plerumque ob terremotus ex
quibus singulis annis maximum perpeti
solet incommodum jacturam que et domorum
ruinam non mediocrem»).
Negli anni successivi, i terremoti divennero
sempre più frequenti. In un
manoscritto di Cola Anello Pacca, mai
pubblicato ma citato da Mercalli, si
legge che «… dal detto anno 1536 sino
ai 28 di settembre del 1538 in Napoli,
in Pozzuoli e quasi per tutta Terra di
Lavoro furono molti e spessi terremoti
dei quali alcuni furono d’importanza e
altri scossero debilmente la terra, spesso
di giorno e tal volta di notte onde tal giorno fu che più volte s’intesero perchè
quanto più s’approssimava a noi il detto
mese tanto con maggior empito più
spessi seguivano i movimenti, talchè a
28 che fu di sabato tra il dì e la notte
soccesse il terremoto 20 volte quando
portando maggior furia e quando con
minor violenza finchè a 29, nel qual dì si
celebra la festività di san Michele Arcangelo,
che in quell’anno fu di domenica,
fra una in due hore di notte in un piano
qual era tra’l lago Averno e’ l monte Barbaro
sotto Pozzuoli enfiandosi la terra
s’aperse in molte parti».
Anche la cronaca del 1538 del Delli Falconi
conferma queste informazioni: «Sono
ormai due anni in Pozzolo, in Napoli e
nelle parti circonvicine sono stati spessi
terremoti, E nel giorno innanzi che apparve
tale incendio tra la notte e il giorno
furono sentiti nelli predetti luoghi tra
grandi e piccoli più di venti terremoti».
Cosa stava avvenendo intorno a Pozzuoli?
Un’interpretazione recente suppone
che, a partire dal 1400, a una profondità
di circa 4-5 km sotto Pozzuoli, diverse
intrusioni di magma, avvenute in maniera
episodica dall’inizio del ’400 fino
all’inizio del ’500, causassero il rigonfiamento
del suolo con il massimo della deformazione
proprio in corrispondenza
della città. Il sollevamento del suolo in
corrispondenza di Pozzuoli raggiungeva
circa 8-10 metri, rispetto al livello di
massimo abbassamento e sommersione
del Serapeo. Alle iniezioni di magma si
associavano violente crisi sismiche (in
particolare negli anni 1507-1508), che
causavano estesi danneggiamenti agli
edifici della città, come documentato
da cronache e editti reali.
Una nuova forte crisi sismica avvenne
nel 1537-1538, con il culmine nella notte
fra il 28 e 29 settembre 1538, quando
le scosse furono talmente violente da
seminare il panico generale, così come
testimoniato da un abitante di Pozzuoli
in una perizia giurata resa circa 50
anni dopo l’eruzione: «Die 30. Mensis Julii 1587. Puteolis. Magnificus Dominus
Antonius Russus de Puteolis aetatis
annorum octuaginta et plus in circa testis
summarie productus, et medio suo
juramento interragatus, et examinatus
super tenore Memorialis magnificae
Universitatis Puteolanae, dicit: (…) e
proprio l’anno 1538, nel giorno di San
Geronimo (28 settembre NdR) si sentì
per detta Città un gran terremoto, lo
quale allo stesso pigliava, e lasciava, e
tutta la Città si mise in rivolta, e quasi
tutta disabitò, ed andò in Napoli, e per
le campagne, chi fuggiva in un luogo, e
chi in un’altro, e pareva, che il mondo
volesse subissare; e le genti fuggivano
etiam alla nuda, ed uscendo esso testimonio
co’ suoi figliuoli, e sua moglie,
ritrovò alla porta di Pozzuoli una donna
nominata Zizula, moglie di Mastro
Geronimo Barbiero, la quale andava in
camicia a cavallo ad uno somiero alla
mascolina, scapillata: e tutti piangevano,
e gridavano: Misericordia!».
Nel frattempo, in prossimità del villaggio
di Tripergole che sorgeva presso il
lago di Averno, nell’area dove poi sarebbe
cresciuto Monte Nuovo, avvenivano
altri eventi straordinari, citati in una
lettera di Francesco del Nero a Nicolò
del Benino: «A di 28 di Settembre, a 2
ore circa, si seccò il mare di Pozzuolo
per spazio di braccia secento talché i
(cittadini) di Pozzuolo presero le carrate
del pesce rimasto in secco. A dì 29, ad
ore 14, dove oggi è la voragine del fuoco,
abbassò la terra dua canne e ne usci uno
umetto di acqua freddissima e chiara,
secondo alcuni che abbiamo esaminati.
Secondo altri, tiepida e alquanto sulfurea,
e perché li uomini esaminati e che
fanno tale attestazione sono tutti degni
di fé, credo tutti dichino il vero, e che
prima uscissi in un modo e poi in uno
altro. Anche il medesimo di, a mezzo
giorno, cominciò in tal luogo a gonfiare
la terra di maniera che dove era abbassata
dua canne, ad ore una e mezzo di
notte era alta quanto Monte Ruosi». E il già citato Antonio Russo conferma
che: «E come fu verso un’ora in due di
notte, uscì una bocca di fuoco, vicino
al detto Ospedale, (di Tripergole ndr)
nel luogo nominato la Fumosa da dentro
mare, e menava gran moltitudine
di pietre pomici, e di arena, e si sentivano
gran tuoni, e lampi; ed in cambio
di acqua pioveva arena, e venne detta
bocca di fuoco così aperta ad accostarsi
al Castello, ed Ospedale di Tripergole,
e tutto lo sconquassò, e rovinò, e poi lo
empì di arena, e di pietre, e vi fece una
montagna nuova in ventiquattro ore,
dove infino ad oggi si vede».
Il rapido rigonfiamento del suolo in
corrispondenza della bocca eruttiva è
causato dal magma arrivato ormai vicino
alla superficie. A poche centinaia di
metri di profondità, il magma provoca
la fratturazione e lo sprofondamento
del terreno, mentre l’acqua della falda
freatica, intercettata dal magma, sgorga
in superficie.
Ormai leruzione è in pieno sviluppo,
come testimonia Delli Falconi: «Et secundo
quanto m’è stato riferito, cominciarono
a vedersi in quel luogo dal detto
sudatoio et Tre Pergule certe fiamme in
foco, le quali cominciarono dal detto sudatoioet
andavano a Tre Pergule». «Li
poveri cittadini di Pozzuoli, sgomenti di
questo spettacolo, horribile» scappano
verso Napoli «fuggendo la morte col volto
però depinto dei suoi colori ». «Et le montagne
di cenere, pietre et fumo parea che
fussero per coprire tutto quel mare et la
terra… molti che hanno veduto la cenere
che è arrivata a Vallo de Diano et alcune
parti de Calabria». «(Il venerdì e il sabato
successivo)…, in molti si portarono a constatare
che si era fatto un monte in quella
valle, che gira circa tre miglia, et è poco
meno alto di Monte Barbaro, che gli sta
incontro et ha coperto lo castello di Tre
Pergule et tutti quelli edifici et la maggior
parte dei bagni che erano intorno».
Come notato dai testimoni, l’apertura
della frattura eruttiva inizia in una zona che in precedenza era sommersa
dal mare e che coincide con l’area ora
nota come secca della Fumosa, posta a
ridosso di una delle massicciate esterne
(Pilae) di quello che era l’antico porto
romano (Portus Iulius). Rapidamente
la frattura si propaga verso terra in direzione
del villaggio di Tripergole, dove
si localizzerà la bocca eruttiva principale
intorno alla quale crescerà Monte
Nuovo.
L’eruzione fu di tipo esplosivo e avvenne
in due fasi, distinte da differenti gradi
di interazione fra il magma e l’acqua
del mare. Nella prima fase si verificò
un’intensa frammentazione del magma
e si formò una colonna eruttiva carica
di pomici e ceneri bagnate che si dispersero
in direzione di Napoli. «Ed in tal
ora el fuoco aperse e fece quella voragine
con tanto impeto e tanto romore e
splendore che io al giardino ebbi gran
paura, non però di sorte che lo avanti
passassi dua terzi di ora, non andassi
cosi mezzo ammalato a certa altezza qui
vicino dove vedevo tutto. E per mia fe
era bel fuoco che si era levato in capo
tanta terra e tanta pietra e del continuo
buttava in alto e cadevono allo intorno
alla bocca del fuoco che dalla parte del
mare empiè un semicirculo di mare che
la corda fussi miglio uno» (Del Nero).
Intorno alla bocca eruttiva cresce rapidamente
un cono formato da ceneri
umide, miste a pomici e a frammenti di
roccia strappati al condotto (Figura 1).
La formazione del cono ha l’effetto di
isolare il magma dall’acqua del mare.
A questo punto la violenza dell’eruzione
diminuisce e la dinamica è governata
unicamente dai gas essolti dalla massa
magmatica. L’eruzione procede con
esplosioni intervallate da pause, come
comunemente si osserva a Stromboli,
con lanci di scorie incandescenti e ceneri
che disegnano in aria traiettorie paraboliche.
Il grande effetto scenografico e
la somiglianza con i fuochi pirotecnici
ispirò, tra stupore e paura, numerose descrizioni dell’avvenimento. Nicolò del
Benino accosta questa fase dell’eruzione
proprio ai fuochi artificiali che si sparavano
a Roma da Castel Sant’Angelo:
«Però gliela voglio esemplificare, Immaginisi,
VS, quella bocca di foco essere
il Castel Santo Agnolo, che sia pieno di
razzi ritti che tocchino l’uno con altro
e sia loro dato foco Non è dubbio che
tali razzi benché vadino erti e ritti in
nel cadere danno certa volta che non
cascono nel Castello donde escono ma
in Tevere e in Prati. Imaginisi poi che
sieno cadute tante carte di razzi in Tevere
che lo abbino ripieno ed alzatovi
la carta quattro canne e di verso Prati
vi sieno cascate tante che abbino fatto
una montagna ». La successione dei prodotti che corrispondono
alle due fasi dell’eruzione è
visibile lungo il sentiero dell’Oasi Naturalistica,
curata dal Comune di Pozzuoli,
che corre ai piedi di Monte Nuovo
(Figura 2).
L’eruzione procede con esplosioni sempre
più isolate e di violenza decrescente,
provocando molti danni ma nessuna vittima.
Purtroppo, il 6 ottobre, quando il
pericolo sembrava passato, una brigata
di curiosi si avventurò sulla cima della
nuova montagna, restando colpiti da
un’ultima esplosione. Levittime furono
ventiquattro, investite da lanci di scorie
e soffocate dalla cenere e dai gas.
L’eruzione di Monte Nuovo non fu particolarmente
violenta, ma ebbe grande ripercussione sull’economia e sul tessuto
sociale dell’area. Ai danni causati
dall’emissione dei prodotti vulcanici si
sommarono quelli dei terremoti avvenuti
nelle ore precedenti l’apertura della
bocca eruttiva. Le ceneri bagnate distrussero
buona parte della vegetazione
nella zona sottovento (verso Pozzuoli e
Napoli): «Dalla parte di Pozzolo ha fatto
una montagna alta poco meno di Montemorello
ed intorno miglia settanta ha
coperto la terra e li arbori di cenere, parte
della mia masseria non ho (…) foglia,
[la cenere è] alta una corda da trottola,
ma vicino a Pozzolo [fino] a miglia sei,
non vi è arbore che non abbi troncato
tutti e rami nè si cognosce che alberi
sieno stati che qui è caduta più grossa ed era molle e sulfurea e pesava» (Del
Nero). Inoltre, il cono di Monte Nuovo
si formò proprio dove si trovava l’abitato
di Tripergole e ne causò la scomparsa,
compreso un ospedale, collegato
alla presenza di ben 10 bagni termali,
anch’essi irrimediabilmente perduti. Il
ridimensionamento delle sorgenti termali
dell’area flegrea, che davano vita a
una fiorente industria medica, si ripercuoterà
in un vantaggio per gli impianti
termali della vicina isola d’Ischia che
dura a tutt’oggi.
Anche la città di Pozzuoli fu danneggiata
dalle pesanti ceneri cadute su
strutture già indebolite dai terremoti
avvenuti prima dell’eruzione. Un cronista
dell’epoca, Francesco Marchesino, testimonia come a Pozzuoli «non erano
dieci case (…) che non fussero o conquassate,
o in tutto o in parte a terra
rovinate, et senza un cittadino e tale
fu lo sconquasso, che nessuna pietra
restò al posto, dove l’aveva applicata
il mastro muratore». Metà Duomo era
crollato e tutti i giardini erano «coperti
di cenere».
Solo grazie all’immediata opera di ricostruzione
intrapresa dal viceré Pietro
di Toledo, la città di Pozzuoli tornò
a vivere, pur senza più raggiungere
l’importanza che aveva conosciuto nel
periodo romano e il livello di vivacità
sociale che le avevano regalato per tutto
il Medioevo la presenza delle acque termali,
dovute alla stessa natura vulcanica
del territorio.
Dalle cronache dell’epoca possiamo
trarre un insegnamento valido anche
per il futuro: l’eruzione fu preceduta da segnali macroscopici, sia per quello che
riguarda la sismicità che le deformazioni
del suolo. Tuttavia questi segnali si
svilupparono progressivamente nel tempo
per oltre cento anni e le persone si
abituarono a considerare normale un
fenomeno di per sé anomalo. La crisi
finale, sebbene preceduta da due anni
di scosse di media intensità, accelerò in
un tempo breve, meno di ventiquattro
ore. I segnali furono talmente rilevanti
nelle ore precedenti l’eruzione che tutti
gli abitanti di Pozzuoli e Tripergole
fuggirono e si salvarono, sebbene non
avessero alcuna conoscenza dei fenomeni
vulcanici.
Questa esperienza potrebbe essere
un’utile guida di comportamento individuale,
qualora si dovessero verificare
fenomeni analoghi in futuro.
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