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Stralcio tratto da una pubblicazione del 2013  (http://www.amracenter.com)

Formattazione testo a cura di Giuseppe D’Aniello per Meteovesuvio – Marzo  2015.

 

Cosa sta avvenendo al di sotto dei Campi Flegrei

Autori: Lucia Civetta, Roberto Moretti, Giovanni Orsi, Ilenia Arienzo, Massimo D’Antonio

Dati geologici dei Campi Flegrei sia di superficie che di sottosuolo (quest’ultimi raccolti tramite perforazioni) e dati geofisici evidenziano che la caldera dei Campi Flegrei – un’ampia depressione prodotta da collassi correlati alle eruzioni di grande magnitudo dell’Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano, avvenute rispettivamente 39.000 e 15.000 anni fa – è riempita da depositi piroclastici con intercalati sedimenti marini e continentali fino ad una profondità di circa 2 km. Rocce più dense, termometamorfosate, sature in fluidi bifase (acqua e gas) sono localizzate tra 2 e 3 km di profondità. A profondità ancora maggiori, i risultati di un’indagine basata sulla propagazione delle onde sismiche, la tomografia sismica di velocità, suggeriscono la presenza del basamento calcareo, a circa 5 km di profondità, e, a circa 8 km di profondità, di uno strato caratterizzato da una bassa velocità di propagazione delle onde sismiche, dello spessore di circa 1 km, interpretato come una zona parzialmente fusa. Esso dovrebbe corrispondere al serbatoio magmatico profondo identificato dagli studi petrologici sui prodotti delle eruzioni flegree degli ultimi 15.000 anni, localizzato a circa 8-10 km di profondità, e considerato parte del complesso sistema magmatico che ha alimentato il vulcanismo recente dei Campi Flegrei (Figura 1). I magmi eruttati ai Campi Flegrei hanno una composizione chimica e mineralogica variabile, che si riflette in una variabilità del contenuto in SiO2, dal 52 al 62% in peso, dei prodotti vulcanici. In accordo con i dati petrologici, negli ultimi 15.000 anni il sistema magmatico flegreo è stato caratterizzato da almeno due serbatoi localizzati a diversa profondità (Figura 1): un serbatoio profondo (8-10 km), dove magmi di composizione meno differenziata, cioè meno ricca in silice, risiedevano, cristallizzavano e degassavano, e da cui raggiungevano la superficie terrestre risalendo lungo porzioni dei sistemi di faglie e fratture a direzione NE-SO bordanti la caldera più recente dei Campi Flegrei, o risalivano a minore profondità per formare uno o più serbatoi “superficiali” (4-5 km di profondità), dove stazionavano e subivano ulteriori processi di differenziazione e di mescolamento con magmi parzialmente cristallizzati, prima di eruttare. La parte ancora attiva della caldera dei Campi Flegrei comprende, inoltre, un sistema idrotermale ben sviluppato e attivo, le cui manifestazioni superficiali sono concentrate nelle aree maggiormente interessate dal vulcanismo e dalla deformazione negli ultimi 5.000 anni. Le manifestazioni più importanti sono quelle di La Solfatara (Figura 2) e di Pisciarelli. Le perforazioni effettuate negli ultimi decenni hanno inoltre evidenziato numerosi serbatoi geotermici tra 1 e 3 km di profondità, il più profondo dei quali contiene fluidi salini ad alta temperatura (350-400°C). È necessario che gli approcci puramente probabilistici, fondamentali nel decidere le soglie caratteristiche del fenomeno di unrest siano accompagnati da valutazioni deterministiche d’insieme delle variazioni osservate nei segnali geofisici e geochimici all’interno di un’unica ipotesi di riferimento compatibile con la dinamica degli ultimi 5.000 anni dei Campi Flegrei nota su base vulcanologica oltreché storica.

L’applicazione di un’altra tecnica sismica, la tomografia sismica di attenuazione, ha evidenziato la probabile presenza di un piccolo volume di materiale parzialmente fuso (camera magmatica superficiale; Figura 1) a 3-4 km di profondità al di sotto della porzione della caldera dei Campi Flegrei che ha subito il massimo sollevamento durante il bradisismo del 1982-84, e che viene considerato da molti ricercatori il residuo del corpo magmatico che si è intruso durante quell’evento. Questa interpretazione è in accordo anche con le alte temperature misurate nei pozzi geotermici, che registrano valori di circa 400° C a 3 km di profondità, e con le composizioni dei fluidi emessi negli anni Ottanta a La Solfatara e a Pisciarelli, caratterizzate da un elevato contenuto in gas magmatici. Quest’ultima caratteristica è stata spiegata con la presenza di un corpo magmatico sottostante in degassamento, che rilascia H2O, CO2 e gas acidi nel sistema idrotermale, la cui base è a circa 2,5 km di profondità, Figura 1. Sketch geo-vulcanologico del sistema magmatico alimentante l’eruzione di Agnano Monte Spina (a), elaborato utilizzando i risultati delle tomografie sismiche (b, c) per definire l’architettura del sistema magmatico dei Campi Flegrei. Tale sistema può rappresentare un’utile approssimazione per ipotizzare scenari presenti e futuri in cui il magma e i suoi gas interagiscono con il sistema idrotermale. Figura 2. La Solfatara. (a) Sistema magmatico dell’eruzione di Agnano Montespina (b) Tomografia sismica di velocità (c) Tomografia sismica di attenuazione a condizioni di P e T vicine al punto critico dell’acqua. I fluidi magmatici, mescolandosi con le acque meteoriche che in profondità sono sature di CO2 e costituiscono la vera e propria componente idrotermale, generano una plume ascendente di gas caldi che in risalita condensa vapore. Tali condensati contribuiscono fortemente alla circolazione idrica sotterranea, dando origine ad una falda che in parte emerge nella piana di Agnano. Bisogna sottolineare che gli importanti flussi di CO2 misurati nell’area (in media 1.500 tonnellate al giorno solamente a La Solfatara, per circa 0,5 km2 di estensione) mostrano che l’intero processo è sostenuto da una sorgente di fluidi difficilmente conciliabile con un piccolo serbatoio magmatico sub-superficiale, come dedotto dalle analisi delle deformazioni del suolo e delle variazioni gravimetriche registrate negli anni 1982-85, dai risultati delle indagini della tomografia sismica di attenuazione e da dati isotopici e calcoli termodinamici. Tutti questi studi hanno suggerito che l’intrusione magmatica superficiale responsabile dell’evento bradisismico del 1982-85 avesse un volume di circa 2,1x10^7 m3, fosse satura in componenti volatili e presentasse una fase gassosa essolta, tale per cui la sua densità sarebbe stata di circa 2.000 kg m-3. Sulla base degli stessi dati, si ritiene che tale intrusione fosse già largamente cristallizzata 20-30 anni dopo la sua messa in posto, dopo essere stata la sorgente dei gas immessi nel sistema geotermale, e avere contribuito significativamente con il suo degassamento alle emissioni fumaroliche. Utilizzando quale contenuto iniziale di gas dell’intrusione magmatica del 1982-85, il contenuto in gas determinato per i magmi alimentanti le eruzioni flegree delle ultime migliaia di anni, quali ad esempio quella di Agnano-Monte Spina avvenuta 4.600 anni fa, sono state calcolate quantità e composizione chimica dei gas essolti durante il progressivo raffreddamento e cristallizzazione. Tale processo dovrebbe aver prodotto gas progressivamente impoveriti in CO2 e arricchiti in H2O, H2S e SO2 (quest’ultimo facilmente rimosso dal sistema idrotermale). Tuttavia il chimismo attuale delle fumarole non fornisce riscontro a questa evoluzione, pur mostrando variazioni ascrivibili a un ingresso di nuovi gas magmatici. Quanto descritto dimostra che, benché il corpo magmatico superficiale debba avere avuto un’azione importante nell’iniettare gas nel sistema idrotermale sovrastante e nelle fumarole, il solo suo degassamento non riuscirebbe a spiegare le caratteristiche composizionali delle emissioni fumaroliche di La Solfatara e le relative variazioni temporali. Esse sarebbero coerenti con il coinvolgimento di almeno due sorgenti di degassamento magmatico che differiscono in ubicazione (superficiale e profonda), dimensioni e storia di raffreddamento/cristallizzazione, operanti dopo la messa in posto del corpo magmatico superficiale. La diversa solubilità dei gas in questi due corpi (essenzialmente a causa delle differenze di carico, temperatura e grado di cristallizzazione) fa sì che il corpo superficiale dovrebbe essere stato periodicamente infiltrato e “ricaricato” da gas ricco in CO2, di provenienza profonda. L’implicazione che ne deriva è che il contributo alle fumarole dalla sorgente magmatica superficiale, in via di cristallizzazione, deve essere diminuito progressivamente fino a diventare trascurabile, lasciando, durante gli ultimi anni, il solo contributo della sorgente più profonda, che probabilmente coincide con il grande serbatoio magmatico localizzato a 8 km di profondità al di sotto della caldera dei Campi Flegrei. Un tale processo si manifesta nel diverso pattern mostrato dopo l’anno 2000 dalla composizione dei gas fumarolici, dal continuo aumento della frazione dei gas magmatici emessi, e potrebbe essere compatibile con la dinamica dell’unrest in atto, marcata da un lento ma continuo sollevamento del suolo.

Nell’ambito di una tale evoluzione, la domanda da porsi per ipotizzare possibili scenari futuri è: «Qual è il destino del corpo magmatico superficiale che ha probabilmente causato l’episodio bradisismico del 1982-85 ai Campi Flegrei?».

Gli scenari possibili sono tre:

 1. Persistenza del solo degassamento profondo: il corpo magmatico superficiale, messo in posto all’inizio del 1982 a circa 4 km di profondità, da quel momento ha iniziato a cristallizzare e degassare, e ha alimentato il sistema idrotermale con una miscela di gas di composizione variabile. Dopo circa 30 anni esso è completamente cristallizzato, e il sistema idrotermale è alimentato solamente e direttamente dai gas profondi rilasciati dal magma localizzato a 8 km di profondità (Figura 3).

2. Il corpo magmatico superficiale cristallizzato, subisce una rifusione a causa dell’arrivo dei gas profondi (in funzione del loro flusso e della loro entalpia) e il suo degassamento, una volta rifuso, alimenta il sistema idrotermale sovrastante. Tale scenario prevede che la sorgente della deformazione attuale sia a 4-5 km di profondità, e sul medio-lungo termine il ritorno a un chimismo dei gas delle fumarole simile a quello del 1982-85.

 3. Magma del serbatoio profondo, localizzato a 8 km di profondità al di sotto dei Campi Flegrei, risale verso il corpo magmatico intruso a relativamente bassa profondità, parzialmente o totalmente cristallizzato. Anche in questo caso, sul medio e lungo termine, si prevede il ritorno a un chimismo dei gas delle fumarole simile a quello del 1982-85.

Va considerato che dati petrologici sui prodotti delle eruzioni flegree mostrano che queste, nella maggior parte dei casi, avvengono dopo episodi Figura 3. Sketch dello scenario che prevede degassamento profondo (da 8 km) e risalita dei gas attraverso l’intrusione magmatica superficiale cristallizzata e permeabile (modificata da Zollo et al. (2008). di arrivo di nuovo magma profondo ricco in gas e susseguente mescolamento con magmi residenti nel sistema superficiale. Questo dato potrebbe suggerire che l’arrivo a circa 4-5 km di profondità di un magma profondo, e il mescolamento con il magma cristallizzato residente, potrebbero innescare una nuova eruzione. Questi tre scenari hanno implicazioni estremamente contrastanti per la pericolosità vulcanica, e possono essere valutati al meglio considerando i relativi segnali geofisici che dovrebbero essere generati. Ad esempio, anomalie gravimetriche relative all’arrivo di una nuova massa di magma sono possibili solo nello scenario 3, mentre gli scenari 1 e 2 potrebbero benissimo richiedere tassi di sollevamento del suolo relativamente bassi rispetto a quelli osservati durante la fase iniziale dell’evento bradisismico del 1982-85. D’altro canto, le anomalie geochimiche possono trovare immediato riscontro all’interno di tutti questi scenari, tenendo conto delle sorgenti di fluidi a diversa profondità, menzionate in precedenza.

 Per concludere, risulta importante che gli approcci puramente probabilistici, fondamentali nel decidere le soglie caratteristiche del fenomeno di unrest (ad esempio, unrest idrotermale verso unrest magmatico), siano accompagnati da valutazioni deterministiche dell’insieme delle variazioni osservate nei segnali geofisici e geochimici all’interno di un’unica ipotesi di riferimento compatibile con la dinamica recente (ultimi 5.000 anni) dei Campi Flegrei, nota su base vulcanologica oltreché storica.