Cercheremo di fare un po di chiarezza, utilizzando documenti ufficiali
(con formattazione testo Nostra), in attesa del rilascio del Piano di
emergenza.
Partiamo dai livelli di allerta. Sappiamo che dal dicembre 2012 i Flegrei sono a livello di "attenzione" o "giallo".
Ma eccovi i livelli che, con molta probabilità, verranno inseriti nel nuovo piano:
BASE
-----> ATTENZIONE (attuale)
PREALLARME
ALLARME
Ora, la tabella boleana che segue ci dice quali sono i parametri
vulcanologici di riferimento delle fasi pre eruttive (unrest=crisi,
magmatic ed eruption):
Cioè, al verificarsi delle condizioni di cui al nodo 1, si passa
la nodo 2 e, da questo, poi al terzo. Purtroppo non è
ancora disponibile ripetiamo il "piano di emergenza" aggiornato e,
dunque, non ci è noto quali scelte siano state fatte nella
definizione dei parametri di dettaglio. Né ci tornano utili "Gli
elementi di base per il Piano di nazionale emergenza Campi Flegrei" del
2001 che contiene solo generiche indicazioni non sufficientemente
dettagliate in merito. Comunque rimettiamo, per completezza, la tabella ivi presente:
Torniamo dunque alle tre fasi di cui sopra che sono quelle importanti e
determinanti al fine della individuazione del passaggio da una fase
all'altra. Leggiamo, nel documento a Nostra disposizione, che le tre
fasi non corrispondono alla definizione dei quattro livelli del Piano
per ragioni tecnico-operative.
Ma quando si passa da un livello all'altro?
Qui, la risposta è simile, ma non identica, a quella che si ha per il Vesuvio e che abbiamo analizzato a questa pagina.
In pratica, a partire dal livello di "attenzione" in poi, non è
ben chiaro quando sia opportuno passare al livello successivo. Si
tratta, leggiamo, di un processo decisionale che dovrebbe coinvolgere
non solo vulcanologi ma anche esperti in scienze sociali. Andranno valutati anche i costi ed i benefici.
Ma leggete qui:
"I livelli di attenzione, preallarme e allarme corrispondono ad un aumento progressivo delle probabilità
di riattivazione eruttiva del vulcano e implicano una risposta crescente del sistema osservativo del
vulcano e del sistema di Protezione Civile. Va notato che tali quattro livelli non sono immediatamente
assimilabili ai quattro stati (Background, Unrest, Magmatic, Eruption) relativi all’albero degli eventi
descritto in questo capitolo; va inoltre notato che l’albero degli eventi produce, per ciascun insieme di
osservazioni, le probabilità di trovarsi in ciascuno dei quattro stati da esso previsti. Al contrario, i livelli
di allerta qui riportati rappresentano una discretizzazione a scopo operativo. La definizione delle soglie
di criticità, il cui superamento comporta l’attivazione dei vari livelli di allertamento, è operazione complessa e delicata che dovrebbe trovare supporto in analisi oggettive, per esempio di tipo
costi/benefici, al fine di giustificare le azioni intraprese in un processo decisionale (Dolce e Di Bucci,
2012). Si ritiene che solo per il passaggio dal livello base al livello di attenzione lo stato delle
conoscenze permetta valutazioni robuste, in quanto esiste una significativa esperienza al proposito
determinata dai dati e analisi del monitoraggio vulcanico ai Campi Flegrei nel corso degli ultimi
decenni, durante i quali più volte il vulcano ha manifestato comportamenti che si discostavano
sensibilmente da uno stato di background (si veda la Fig. 6.1). Durante tali fasi vengono normalmente
attivate procedure di vigilanza straordinaria, durante le quali si procede ad un’analisi di dettaglio dei
parametri che hanno mostrato delle variazioni, anche con l’ausilio di strumentazioni aggiuntive e
campagne di misura dedicate. In ogni caso il passaggio a livelli di allerta superiori richiede valutazioni
che possono essere effettuate solo durante la crisi, attraverso un processo decisionale che dovrebbe
coinvolgere esperti in discipline che spaziano dalla vulcanologia alle scienze sociali, e che includano
opportune valutazioni sui modi, i tempi, e le problematiche specifiche associati a ciascun intervento
operativo corrispondente a ciascun successivo livello di allerta."
Dunque, troviamo la menzione di valutazioni
di costi/benefici ai fini del passaggio da un livello all'altro e di
oggettive difficoltà scientifiche tali che solo durante la crisi
si potrà decidere se e quando farlo.
Domanda: ma quali sono i tempi di riattivazione e risalita del magma in caso di unrest vulcanico?
Giorni od ore, probabilmente: "[...]la possibilità che le ultime fasi di risalita magmatica immediatamente
precedenti l'eruzione avvengano in tempi anche molto brevi (giorni o ore) [...]".
E dove avverrà l'eruzione? Solfatara, Agnano, Monte Nuovo, Astroni?
Al primo posto, c'è l'area Agnano-Astroni, al secondo Averno-Monte Nuovo....
Vediamo in dettaglio cosa leggiamo sul punto:
"Le stime di probabilità sopra descritte forniscono un quadro sostanzialmente consistente, seppur
con differenze non trascurabili. In tutti i casi vengono identificate all’interno della caldera flegrea due
aree principali a maggiore probabilità di apertura di future bocche eruttive. L’area a massima
probabilità è localizzata grossomodo nella zona di Astroni-Agnano, mentre la seconda area per valori
di probabilità è localizzata in corrispondenza di Averno – Monte Nuovo. Si può quindi concludere che
l’insieme delle conoscenze oggi disponibili è concorde nell’individuare tali due aree come quelle
caratterizzate dalla più elevata probabilità di apertura di future bocche eruttive, con l’area a est
(Astroni-Agnano) caratterizzata da maggiori valori di probabilità. Tuttavia, in questo quadro vi sono
altre aree caratterizzate da elevata probabilità di apertura di bocche eruttive, lasciando quindi una
elevata incertezza complessiva. Ad oggi sembra quindi necessario tenere conto del fatto che una futura
bocca eruttiva ai Campi Flegrei potrà aprirsi in un’area complessivamente vasta, sebbene la zona
Astroni-Agnano, e secondariamente la zona Averno-Monte Nuovo, emergano come quelle a maggiore
probabilità.
Va notato infine che in tutti i casi sopra descritti ci si riferisce alla probabilità vincolata, ovvero,
alla probabilità di apertura di una bocca eruttiva assumendo il verificarsi di una eruzione. In altre
parole, non vi è riferimento temporale nelle mappe considerate (la somma delle probabilità è uguale a 1
– eccetto ovviamente il caso puramente qualitativo della mappa di Orsi et al., 2004). In nessun caso si
analizza se e come le informazioni provenienti dalle reti osservative e di monitoraggio possano
intervenire nel modificare la distribuzione di probabilità a breve termine – sebbene all’atto pratico
questo aspetto possa divenire cruciale ai fini della gestione scientifica e logistica dell’emergenza. Come
discusso nel capitolo 6, la possibilità che le ultime fasi di risalita magmatica immediatamente
precedenti l'eruzione avvengano in tempi anche molto brevi (giorni o ore) può rappresentare un
notevole limite alla possibilità effettiva di stimare la posizione della futura bocca in tempi utili per la
gestione dell'emergenza. Tuttavia, studi specifici su questi argomenti per i Campi Flegrei non sono
disponibili."
Ma cosa
dice la storia dei Flegrei? Dove è posizionata la camera
magmatica? Quanto tempo potrebbe impiegare il magma per giungere in
sueperficie? Che tipo di eruzione è attesa?
I tempi potrebbero essere molto brevi. Pochi giorni od ore dall'innesco della fase di crisi.
Sembra esserci una grande camera magmatica intorno ai 7-8 km di
profondità ed altri bacini più piccoli fino a circa 2km
di profondità.
L'eruzione attesa è di tipo medio o basso, a livello probabilistico.
Eccovi la mappa dei flussi pircolcastici attesi per i tre scenari di eruzione piccola, media, grande.
Per chi vuole approfondire:
"La visione d’insieme mostra un reservoir di grandi dimensioni a circa 7-9 km di profondità, che
corrisponde assai bene a quello messo in evidenza dalla tomografia sismica (capitolo 4.3), dove
risiedono magmi a composizione variabile da shoshonite a trachite, e numerosi reservoirs di più piccole
dimensioni messisi in posto a profondità variabili fino a meno di 2 km,
dove magmi più profondi
periodicamente giungono mescolandosi col magma residente e in via di
differenziazione. I dati
suggeriscono che processi di mixing tra magmi composizionalmente
diversi siano continuamente
avvenuti a varie profondità nel corso della storia magmatica dei
Campi Flegrei, e che in numerose
occasioni l’arrivo di magma profondo in una camera magmatica
abbia preceduto anche di pochi giorni il
verificarsi di una eruzione. In tale visione, la magnitudo
dell’eruzione non necessariamente riflette il
volume della camera magmatica più superficiale, in quanto
più reservoirs a diversa profondità possono essere
interessati. Questo sembra essere avvenuto, ad esempio, per
l’eruzione di Agnano Monte Spina,
la maggiore dell’ultima epoca di attività per intensità e magnitudo. Nel caso di tale eruzione le
ricostruzioni petrologiche mostrano una camera magmatica superficiale (2-3 km di profondità), di
piccole dimensioni e ospitante magma di composizione fonolitica, invasa probabilmente 1-2 giorni
prima dell’eruzione da magma di composizione trachitica e di provenienza più profonda, che non si
rinviene come componente a sé stante nei prodotti eruttati, ma si riconosce piuttosto sulla base dei
disequilibri liquido-cristalli come rivelati attraverso procedure di petrologia sperimentale (Roach and
Rutherford, 2004; Roach, 2005)."
"L'analisi suggerisce quindi che una prossima eruzione ai Campi Flegrei sia (valore medio) al 95%
circa di probabilità di scala minore o uguale a quella media. "
Vediamo ora quali sono i fenomeni attesi, cioè cosa concretamente potrebbe accadere in caso di eruzione.
Cinque fasi con fenomeni più o meno distruttivi.
"Per eventi eruttivi prodotti dalla risalita di una massa magmatica dell’ordine di 10 -100 milioni di
metri cubi (ovvero dell'ordine dei volumi eruttati durante la maggior parte delle eruzioni della terza
epoca dei Campi Flegrei, si veda la Fig. 4.5.2, cap. 4), contenente una quantità di gas magmatici
dell’ordine di alcuni percento in peso (valori comunemente riscontrati in eventi avvenuti in passato ai
Campi Flegrei), i fenomeni attesi consistono in una serie di fasi (fasi eruttive) che si manifestano
tipicamente secondo la seguente sequenza idealizzata:
1) fase di apertura; 2) fase di emissione esplosiva sostenuta, con sviluppo di una colonna eruttiva convettiva; 3) fase pulsante con formazione di correnti di densità piroclastica (surge e flussi piroclastici); 4) fase prolungata di emissione di ceneri e vapore acqueo (deposizione di fango e possibile
formazione di lahar); 5) eventuale emissione di lava degassata.
Durante la fase 1 si possono avere esplosioni che lanciano blocchi e bombe, anche di grosse
dimensioni (decimetri/metri), fino a distanze di 1,5-2 km di distanza, accumuli di spessori significativi
(decimetri) di ceneri e lapilli entro 1 km dalla bocca, e rilevanti (metri) entro 500 m dalla bocca. Le
esplosioni possono essere accompagnate dalla formazione di onde di shock. Limitati fenomeni di flusso
piroclastico / surge piroclastico possono verificarsi entro 2 km di distanza dalla bocca eruttiva. La fase
1 ha generalmente durata breve (da decine di minuti a poche ore) e la colonna eruttiva convettiva si
mantiene nell’ordine dei chilometri. L’esistenza in tutta l’area flegrea di acquiferi sotterranei rende
possibile/probabile in questa fase la vaporizzazione di acqua esterna e la deposizione di limitate
quantità di ceneri umide.
Durante la fase 2 si
ha il pieno sviluppo di una colonna convettiva sostenuta (Fig. 7.3.1)
che può
raggiungere altezze da alcuni chilometri fino a oltre 30 km a seconda
dell’intensità eruttiva ovvero
della scala dell’evento (con i valori massimi associati ad
eruzioni di tipo "Pliniano"). Lo sviluppo della
colonna eruttiva e della sovrastante nube a forma di
“ombrello”, che si allarga normalmente in tutte le
direzioni espandendosi in maniera preponderante lungo la direzione dei
venti dominanti in alta quota,
producono oscuramento. Quando l’oscuramento si accompagna alla
caduta di cenere dalla colonna
stessa, le condizioni divengono fortemente stressanti per la
popolazione in un raggio di alcune decine di
chilometri dalla bocca. Dai margini della colonna e dalla nube a forma
di ombrello si attiva una continua pioggia (caduta) di lapilli per lo
più freddi. Il tasso di accumulo al suolo varia in funzione
della scala dell’eruzione. Per gli eventi di grande scala il
tasso può essere relativamente elevato (da
centimetri a decimetri per ora) in funzione della distanza, direzione
del vento e intensità dell’eruzione.
L’accumulo al suolo di ceneri e lapilli limita in modo rilevante
l’agibilità delle strade, e il sovraccarico
sui tetti può causare il collasso delle coperture. La caduta di
bombe calde (incandescenti all’interno)
può causare l’innesco di incendi entro i primi chilometri
di distanza dalla bocca. Le ceneri che ricadono
al suolo sono tipicamente secche e investono are molto vaste sottovento
(anche centinaia di km dalla
bocca). La colonna convettiva si mantiene attiva mediamente per 5-10
ore e può essere replicata più
volte. Durante le fasi eruttive sostenute si verifica un continuo
tremore del suolo la cui ampiezza
decresce rapidamente allontanandosi dalla bocca.
Durante la fase 3 l’attività tende a divenire pulsante, con ripetuti collassi della colonna eruttiva e
generazione di correnti di densità piroclastica (flussi piroclastici) che possono irradiarsi a 360° intorno
alla bocca eruttiva o preferenzialmente lungo specifici settori (Fig. 7.3.2). La distanza che i flussi
possono percorrere dipende dall’intensità dell’eruzione, dal regime di collasso della colonna
(incipiente, parziale o totale) che a sua volta controlla il flusso di massa che alimenta le correnti, e dalla
posizione della bocca rispetto al contesto topografico. I rilievi limitano e/o deviano la corsa dei flussi, i
bassi topografici ne favoriscono lo scorrimento. Nell'area di propagazione dei flussi la possibilità di
sopravvivenza è molto scarsa, le strutture sono danneggiate in modo grave fino alla totale distruzione,
le temperature elevate possono causare incendi anche di vaste proporzioni. L’ingresso in mare dei
flussi può produrre vaporizzazioni di acqua su vasta scala con successive piogge di lapilli accrezionali
(palline umide di cenere fine aggregata) e piogge fangose sottovento. La fase 3 può avere una durata da
parecchie ore a giorni. Va rimarcato che nel caso di eruzioni di scala “grande”, durante questa fase si
possono verificare collassi della struttura circostante la bocca eruttiva, fino a diametri della struttura in
sprofondamento di alcuni chilometri, e dislivelli finali dell’ordine delle centinaia di metri.
Durante la fase 4
l’intensità eruttiva diminuisce in modo sostanziale. Il
fenomeno principale
consiste nell’emissione di gas e ceneri con formazione di una
colonna eruttiva di altezza di pochi
chilometri. Sottovento rispetto alla bocca l’atmosfera può
essere carica di cenere fine e polveri, con
visibilità ridotta; la permanenza all’esterno delle
strutture può essere resa difficile a causa di difficoltà
respiratorie e irritazione degli occhi (necessità di indossare
maschere antipolvere e occhiali chiusi) Con
il passare delle ore si possono depositare strati di ceneri umide
contenenti lapilli accrezionali.
L’accumulo delle ceneri umide al suolo ostacola utilizzo delle
strade; l’uso dei tergicristalli per la
pulizia dei vetri ne causa l’abrasione ostacolando o impedendo la
visibilità. Il peso delle ceneri umide,
eventualmente aggiunto a quello dei lapilli, può causare
ulteriore sovraccarico ed eventuale collasso
delle coperture. La deposizione di strati di ceneri umide può
causare interruzione della corrente per
corto circuito prodotto sugli isolatori delle linee aeree (si veda
l’eruzione del vulcano Cordon-Caulle
2010 e suoi effetti in territorio argentino) (Fig. 7.3.1). Le ceneri
umide possono infine contenere
quantità significative di sostanze acide in grado di attaccare i
metalli (corrosione).
Il verificarsi di una eruzione in aree idrotermali o in aree
caratterizzate dalla presenza di acqua può
presentare caratteristiche significativamente diverse da quelle sopra
descritte. L’eventuale riattivazione
di bocche in zone soggette a forte risalita di fluidi idrotermali
può infatti essere preceduta dal verificarsi
di esplosioni freatiche che immettono nell’atmosfera nubi cariche
di vapore acqueo e ceneri ricche di
minerali di alterazione idrotermale. Esplosioni di vapore e/o gas in
sistemi rocciosi alterati dall’azione
idrotermale determinano lo sbriciolamento di rocce friabili che tendono
a rilasciare una grande quantità
di materiali fini (soprattutto minerali argillosi). La deposizione
sottovento di queste ceneri accentua i problemi di agibilità
della rete stradale a causa del forte “effetto sapone” dei
minerali argillosi umidi.
Fenomeni di questo genere sono stati descritti durante la crisi
eruttiva di Tavurvur (1994) nella caldera
di Rabaul (Papua - Nuova Guinea). Eventi come quelli descritti a Rabaul
nel 1994 potrebbero
facilmente verificarsi per apertura di bocche eruttive nell'area della
Solfatara ma anche nella conca di
Agnano. La conca di Agnano, anticamente occupata da un lago, contiene
al suo interno spessori
importanti di sedimenti fini, incoerenti e intrisi d'acqua, che possono
determinare scenari
fenomenologici e di impatto simili a quelli ipotizzati per bocche che
si aprano in aree idrotermali.
Se la bocca eruttiva si apre a mare, a ridosso della costa o in un lago
(Averno), la vaporizzazione
dell’acqua superficiale porta a caduta precoce della cenere umida
in conseguenza della condensazione
del vapore. In caso di attività a mare o in prossimità
della costa, un ulteriore problema è rappresentato
dalla possibile generazione di onde di maremoto. Nel caso di forte
vaporizzazione dell’acqua
superficiale sono plausibili precipitazioni intense di pioggia fangosa
con attivazione quasi
contemporanea di colate di fango la cui importanza è legata
all’estensione del bacino idrografico e
all’intensità della precipitazione. Poiché il
fenomeno della caduta di ceneri umide e fango comporta
anche l’impermeabilizzazione del suolo, sono da attendersi anche
importanti fenomeni di
alluvionamento dei bassi topografici a causa della ridotta
capacità di infiltrazione dell’acqua nel
sottosuolo.
La fase eruttiva 4 può avere durate da giorni a settimane, fino
a mesi. I fenomeni sismici sono
tipicamente sporadici e in fase di forte attenuazione, tipicamente
profondi alcuni chilometri e di
magnitudo bassa-intermedia.
La fase eruttiva 5
non è una costante nelle eruzioni flegree. L’emissione di
lava, di solito in
quantità modesta, si verifica quando l’apporto di magma
verso la superficie prosegue a ritmo ridotto
dando modo al gas di separarsi dal liquido magmatico. Questo processo
di separazione della fase gas
può portare alla formazione di un piccolo ammasso di lava
viscosa (duomo) all’interno del cratere, o
una piccola colata. Durante l’emissione di magma degassato si
possono verificare occlusioni del
condotto e accumuli di pressione che causano fasi esplosive molto
violente. Un fenomeno simile si
verificò nella parte finale dell’eruzione del Monte Nuovo
nel 1538, alcuni giorni dopo l’apparente
conclusione dei fenomeni esplosivi, e costò la vita a un gruppo
che si era avventurato sul cono per una
ispezione visiva del cratere.
Pur non esistendo una sostanziale differenza nei fenomeni attesi e
nella loro successione temporale
tra gli eventi di scala bassa, media e grande, le differenze sono
rilevanti in termini di impatto prodotto
sul territorio, come illustrato nei successivi capitoli 7.4 e 7.5, e
nel capitolo 9 sugli scenari di danno.
Nel caso di eruzione di scala “molto grande”, la cui
probabilità è circa 5 volte più bassa di quella
per un
evento “grande”, e minore dell’1% (si veda il cap.
7.2), la sequenza di eventi attesi può non differire
sostanzialmente da quella per eventi di scala grande per quanto
riguarda le fasi da 1 a 3 sopra descritte;
tuttavia, a tale scala eruttiva si associa la possibilità di
generare collassi calderici di grandi dimensioni,
confrontabili con quelli che hanno generato la stessa caldera dei Campi
Flegrei. Durante tali collassi è
ipotizzabile l’attività eruttiva contemporanea da numerose
bocche lungo il sistema di faglie che
bordano la struttura di collasso, e la formazione di flussi
piroclastici fortemente alimentati e in grado di
percorrere distanze dell’ordine delle decine di chilometri. "
E come son bastasse: "Va infine ricordata l’eventualità della formazione di onde di tsunami, che possono generarsi a
seguito di collassi calderici o anche nel caso in cui flussi piroclastici particolarmente energetici
penetrino in mare."
Ma veniamo ora ad uno scenario inquietante:L'ERUZIONE MULTIPLA.
Potrebbero riattivarsi, contemporaneamente, varie bocche eruttive. E il piano di evacuazione deve tenerne conto.
Leggete qui.
"Eruzione multipla
La possibilità di apertura di più bocche in contemporanea, o in un breve lasso di tempo, in siti
anche lontani tra loro alcuni chilometri non è remota per le strutture calderiche. L’esempio recente più
noto è quello della caldera di Rabaul (Papua Nuova Guinea) del 19 Settembre 1994, durante il quale si
verificò l’eruzione contemporanea dai centri di Tavurvur e Vulcan, situati ai due estremi opposti del
bordo calderico, a otto chilometri di distanza l'uno dall'altro. Anche ai Campi Flegrei, è stata accertata
la contemporaneità eruttiva tra i centri di Solfatara e Averno situati a 5,4 km di distanza, 3800 anni fa
(Isaia et al., 2009). Un secondo caso quantomeno sospetto di quasi contemporaneità o contemporaneità
è costituito dalle eruzioni di Montagna Spaccata, Fondo Riccio e Concola i cui crateri sono allineati
lungo la stessa frattura e i cui prodotti presentano età stratigrafiche coeve (Rosi e Sbrana, 1987). Poiché
nella caldera di Rabaul il fenomeno della contemporaneità eruttiva si è ripetuto più volte, è prudente
considerare la riattivazione contemporanea di più centri eruttivi all'interno della caldera flegrea come
una eventualità all’interno degli scenari possibili. Il manifestarsi in contemporanea di attività eruttiva
in bocche distanti tra loro alcuni chilometri comporta un incremento delle aree di impatto all’interno e
all'esterno della caldera dei Campi Flegrei che l’organizzazione dei piani di evacuazione deve
considerare.
"
A questo punto, ci fermiamo qui, ritenendo che i cittadini flegrei e
campani, in generale, dopo la lettura abbiano un quadro chiaro della
situazione.
Ma vi domanderete: qual è la fonte del virgolettato e dei grafici e tabelle?
Per Noi questa è divulgazione, semplicemente divulgazione di
scenari eruttivi ed implicazioni redatte da eminenti vulcanologi e
competenze su incarico della Protezione civile.
E invece leggiamo ancora che c'è personale INGV che va a questo
o quel convegno in queste terre puteolane a sponsorizzare trivellazioni
proprio in area Agnano-Pisciarelli con impianti invasivi a prelievo e
reiniezione di fluidi per erigere centrali geotermiche private
destinate a vendere l'energia elettrica prodotta.
Accade anche questo in Italia.
Tutto nel silenzio assordante del Dipartimento di Protezione civile,
della Regione Campania e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Un saluto a tutti.
Boscoreale, 1/11/2015
Giuseppe D'Aniello