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L'ERUZIONE ATTESA AI FLEGREI - DOVE SI APRIRA' LA NUOVA BOCCA? -
I LIVELLI DI ALLERTA ED I TEMPI- TSUNAMI - ERUZIONE MULTIPLA


By Giuseppe D'Aniello per MeteoVesuvio © 2015 

Cercheremo di fare un po di chiarezza, utilizzando documenti ufficiali (con formattazione testo Nostra), in attesa del rilascio del Piano di emergenza.

Partiamo dai livelli di allerta. Sappiamo che dal dicembre 2012 i Flegrei sono a livello di "attenzione" o "giallo".
Ma eccovi i livelli che, con molta probabilità, verranno inseriti nel nuovo piano:

BASE
-----> ATTENZIONE (attuale)
PREALLARME
ALLARME


Ora, la tabella boleana che segue ci dice quali sono i parametri vulcanologici di riferimento delle fasi pre eruttive (unrest=crisi, magmatic ed eruption):



 
Cioè, al verificarsi delle condizioni di cui al nodo 1, si passa la nodo 2 e, da questo,  poi al terzo. Purtroppo non è ancora disponibile ripetiamo il "piano di emergenza" aggiornato e, dunque, non ci è noto quali scelte siano state fatte nella definizione dei parametri di dettaglio. Né ci tornano utili "Gli elementi di base per il Piano di nazionale emergenza Campi Flegrei" del 2001 che contiene solo generiche indicazioni non sufficientemente dettagliate in merito. Comunque rimettiamo, per completezza, la tabella ivi presente:




Torniamo dunque alle tre fasi di cui sopra che sono quelle importanti e determinanti al fine della individuazione del passaggio da una fase all'altra. Leggiamo, nel documento a Nostra disposizione, che le tre fasi non corrispondono alla definizione dei quattro livelli del Piano per ragioni tecnico-operative.

Ma quando si passa da un livello all'altro?

Qui, la risposta è simile, ma non identica, a quella che si ha per il Vesuvio e che abbiamo analizzato a questa pagina.
In pratica, a partire dal livello di "attenzione" in poi, non è ben chiaro quando sia opportuno passare al livello successivo. Si tratta, leggiamo, di un processo decisionale che dovrebbe coinvolgere non solo vulcanologi ma anche esperti in scienze sociali. Andranno valutati anche i costi ed i benefici.
Ma leggete qui:

"I livelli di attenzione, preallarme e allarme corrispondono ad un aumento progressivo delle probabilità di riattivazione eruttiva del vulcano e implicano una risposta crescente del sistema osservativo del vulcano e del sistema di Protezione Civile. Va notato che tali quattro livelli non sono immediatamente assimilabili ai quattro stati (Background, Unrest, Magmatic, Eruption) relativi all’albero degli eventi descritto in questo capitolo; va inoltre notato che l’albero degli eventi produce, per ciascun insieme di osservazioni, le probabilità di trovarsi in ciascuno dei quattro stati da esso previsti. Al contrario, i livelli di allerta qui riportati rappresentano una discretizzazione a scopo operativo. La definizione delle soglie di criticità, il cui superamento comporta l’attivazione dei vari livelli di allertamento, è operazione complessa e delicata che dovrebbe trovare supporto in analisi oggettive, per esempio di tipo costi/benefici, al fine di giustificare le azioni intraprese in un processo decisionale (Dolce e Di Bucci, 2012). Si ritiene che solo per il passaggio dal livello base al livello di attenzione lo stato delle conoscenze permetta valutazioni robuste, in quanto esiste una significativa esperienza al proposito determinata dai dati e analisi del monitoraggio vulcanico ai Campi Flegrei nel corso degli ultimi decenni, durante i quali più volte il vulcano ha manifestato comportamenti che si discostavano sensibilmente da uno stato di background (si veda la Fig. 6.1). Durante tali fasi vengono normalmente attivate procedure di vigilanza straordinaria, durante le quali si procede ad un’analisi di dettaglio dei parametri che hanno mostrato delle variazioni, anche con l’ausilio di strumentazioni aggiuntive e campagne di misura dedicate. In ogni caso il passaggio a livelli di allerta superiori richiede valutazioni che possono essere effettuate solo durante la crisi, attraverso un processo decisionale che dovrebbe coinvolgere esperti in discipline che spaziano dalla vulcanologia alle scienze sociali, e che includano opportune valutazioni sui modi, i tempi, e le problematiche specifiche associati a ciascun intervento operativo corrispondente a ciascun successivo livello di allerta."

Dunque, troviamo la menzione di valutazioni di costi/benefici ai fini del passaggio da un livello all'altro e di oggettive difficoltà scientifiche tali che solo durante la crisi si potrà decidere se e quando farlo.

Domanda: ma quali sono i tempi di riattivazione e risalita del magma in caso di unrest vulcanico?

Giorni od ore, probabilmente:
"[...]la possibilità che le ultime fasi di risalita magmatica immediatamente precedenti l'eruzione avvengano in tempi anche molto brevi (giorni o ore) [...]".

E dove avverrà l'eruzione? Solfatara, Agnano, Monte Nuovo, Astroni?

Al primo posto, c'è l'area Agnano-Astroni, al secondo Averno-Monte Nuovo....


Vediamo in dettaglio cosa leggiamo sul punto:

"Le stime di probabilità sopra descritte forniscono un quadro sostanzialmente consistente, seppur con differenze non trascurabili. In tutti i casi vengono identificate all’interno della caldera flegrea due aree principali a maggiore probabilità di apertura di future bocche eruttive. L’area a massima probabilità è localizzata grossomodo nella zona di Astroni-Agnano, mentre la seconda area per valori di probabilità è localizzata in corrispondenza di Averno – Monte Nuovo. Si può quindi concludere che l’insieme delle conoscenze oggi disponibili è concorde nell’individuare tali due aree come quelle caratterizzate dalla più elevata probabilità di apertura di future bocche eruttive, con l’area a est (Astroni-Agnano) caratterizzata da maggiori valori di probabilità. Tuttavia, in questo quadro vi sono altre aree caratterizzate da elevata probabilità di apertura di bocche eruttive, lasciando quindi una elevata incertezza complessiva. Ad oggi sembra quindi necessario tenere conto del fatto che una futura bocca eruttiva ai Campi Flegrei potrà aprirsi in un’area complessivamente vasta, sebbene la zona Astroni-Agnano, e secondariamente la zona Averno-Monte Nuovo, emergano come quelle a maggiore probabilità. Va notato infine che in tutti i casi sopra descritti ci si riferisce alla probabilità vincolata, ovvero, alla probabilità di apertura di una bocca eruttiva assumendo il verificarsi di una eruzione. In altre parole, non vi è riferimento temporale nelle mappe considerate (la somma delle probabilità è uguale a 1 – eccetto ovviamente il caso puramente qualitativo della mappa di Orsi et al., 2004). In nessun caso si analizza se e come le informazioni provenienti dalle reti osservative e di monitoraggio possano intervenire nel modificare la distribuzione di probabilità a breve termine – sebbene all’atto pratico questo aspetto possa divenire cruciale ai fini della gestione scientifica e logistica dell’emergenza. Come discusso nel capitolo 6, la possibilità che le ultime fasi di risalita magmatica immediatamente precedenti l'eruzione avvengano in tempi anche molto brevi (giorni o ore) può rappresentare un notevole limite alla possibilità effettiva di stimare la posizione della futura bocca in tempi utili per la gestione dell'emergenza. Tuttavia, studi specifici su questi argomenti per i Campi Flegrei non sono disponibili."

Ma cosa dice la storia dei Flegrei? Dove è posizionata la camera magmatica? Quanto tempo potrebbe impiegare il magma per giungere in sueperficie? Che tipo di eruzione è attesa?

I tempi potrebbero essere molto brevi. Pochi giorni od ore dall'innesco della fase di crisi.

Sembra esserci una grande camera magmatica intorno ai 7-8 km di profondità ed altri bacini più piccoli fino a circa 2km di profondità.


L'eruzione attesa è di tipo medio o basso, a livello probabilistico.


Eccovi la mappa dei flussi pircolcastici attesi per i tre scenari di eruzione piccola, media, grande.




Per chi vuole approfondire:

"La visione d’insieme mostra un reservoir di grandi dimensioni a circa 7-9 km di profondità, che corrisponde assai bene a quello messo in evidenza dalla tomografia sismica (capitolo 4.3), dove risiedono magmi a composizione variabile da shoshonite a trachite, e numerosi reservoirs di più piccole dimensioni messisi in posto a profondità variabili fino a meno di 2 km, dove magmi più profondi periodicamente giungono mescolandosi col magma residente e in via di differenziazione. I dati suggeriscono che processi di mixing tra magmi composizionalmente diversi siano continuamente avvenuti a varie profondità nel corso della storia magmatica dei Campi Flegrei, e che in numerose occasioni l’arrivo di magma profondo in una camera magmatica abbia preceduto anche di pochi giorni il verificarsi di una eruzione. In tale visione, la magnitudo dell’eruzione non necessariamente riflette il volume della camera magmatica più superficiale, in quanto più reservoirs a diversa profondità possono essere interessati. Questo sembra essere avvenuto, ad esempio, per l’eruzione di Agnano Monte Spina, la maggiore dell’ultima epoca di attività per intensità e magnitudo. Nel caso di tale eruzione le ricostruzioni petrologiche mostrano una camera magmatica superficiale (2-3 km di profondità), di piccole dimensioni e ospitante magma di composizione fonolitica, invasa probabilmente 1-2 giorni prima dell’eruzione da magma di composizione trachitica e di provenienza più profonda, che non si rinviene come componente a sé stante nei prodotti eruttati, ma si riconosce piuttosto sulla base dei disequilibri liquido-cristalli come rivelati attraverso procedure di petrologia sperimentale (Roach and Rutherford, 2004; Roach, 2005)."

"L'analisi suggerisce quindi che una prossima eruzione ai Campi Flegrei sia (valore medio) al 95% circa di probabilità di scala minore o uguale a quella media. "

Vediamo ora quali sono i fenomeni attesi, cioè cosa concretamente potrebbe accadere in caso di eruzione.

Cinque fasi con fenomeni più o meno distruttivi.

"Per eventi eruttivi prodotti dalla risalita di una massa magmatica dell’ordine di 10 -100 milioni di metri cubi (ovvero dell'ordine dei volumi eruttati durante la maggior parte delle eruzioni della terza epoca dei Campi Flegrei, si veda la Fig. 4.5.2, cap. 4), contenente una quantità di gas magmatici dell’ordine di alcuni percento in peso (valori comunemente riscontrati in eventi avvenuti in passato ai Campi Flegrei), i fenomeni attesi consistono in una serie di fasi (fasi eruttive) che si manifestano tipicamente secondo la seguente sequenza idealizzata:
1) fase di apertura;
 2) fase di emissione esplosiva sostenuta, con sviluppo di una colonna eruttiva convettiva;
 3) fase pulsante con formazione di correnti di densità piroclastica (surge e flussi piroclastici);
 4) fase prolungata di emissione di ceneri e vapore acqueo (deposizione di fango e possibile formazione di lahar);
 5) eventuale emissione di lava degassata.

 Durante la fase 1 si possono avere esplosioni che lanciano blocchi e bombe, anche di grosse dimensioni (decimetri/metri), fino a distanze di 1,5-2 km di distanza, accumuli di spessori significativi (decimetri) di ceneri e lapilli entro 1 km dalla bocca, e rilevanti (metri) entro 500 m dalla bocca. Le esplosioni possono essere accompagnate dalla formazione di onde di shock. Limitati fenomeni di flusso piroclastico / surge piroclastico possono verificarsi entro 2 km di distanza dalla bocca eruttiva. La fase 1 ha generalmente durata breve (da decine di minuti a poche ore) e la colonna eruttiva convettiva si mantiene nell’ordine dei chilometri. L’esistenza in tutta l’area flegrea di acquiferi sotterranei rende possibile/probabile in questa fase la vaporizzazione di acqua esterna e la deposizione di limitate quantità di ceneri umide.

Durante la fase 2 si ha il pieno sviluppo di una colonna convettiva sostenuta (Fig. 7.3.1) che può raggiungere altezze da alcuni chilometri fino a oltre 30 km a seconda dell’intensità eruttiva ovvero della scala dell’evento (con i valori massimi associati ad eruzioni di tipo "Pliniano"). Lo sviluppo della colonna eruttiva e della sovrastante nube a forma di “ombrello”, che si allarga normalmente in tutte le direzioni espandendosi in maniera preponderante lungo la direzione dei venti dominanti in alta quota, producono oscuramento. Quando l’oscuramento si accompagna alla caduta di cenere dalla colonna stessa, le condizioni divengono fortemente stressanti per la popolazione in un raggio di alcune decine di chilometri dalla bocca. Dai margini della colonna e dalla nube a forma di ombrello si attiva una continua pioggia (caduta) di lapilli per lo più freddi. Il tasso di accumulo al suolo varia in funzione della scala dell’eruzione. Per gli eventi di grande scala il tasso può essere relativamente elevato (da centimetri a decimetri per ora) in funzione della distanza, direzione del vento e intensità dell’eruzione. L’accumulo al suolo di ceneri e lapilli limita in modo rilevante l’agibilità delle strade, e il sovraccarico sui tetti può causare il collasso delle coperture. La caduta di bombe calde (incandescenti all’interno) può causare l’innesco di incendi entro i primi chilometri di distanza dalla bocca. Le ceneri che ricadono al suolo sono tipicamente secche e investono are molto vaste sottovento (anche centinaia di km dalla bocca). La colonna convettiva si mantiene attiva mediamente per 5-10 ore e può essere replicata più volte. Durante le fasi eruttive sostenute si verifica un continuo tremore del suolo la cui ampiezza decresce rapidamente allontanandosi dalla bocca.

Durante la fase 3 l’attività tende a divenire pulsante, con ripetuti collassi della colonna eruttiva e generazione di correnti di densità piroclastica (flussi piroclastici) che possono irradiarsi a 360° intorno alla bocca eruttiva o preferenzialmente lungo specifici settori (Fig. 7.3.2). La distanza che i flussi possono percorrere dipende dall’intensità dell’eruzione, dal regime di collasso della colonna (incipiente, parziale o totale) che a sua volta controlla il flusso di massa che alimenta le correnti, e dalla posizione della bocca rispetto al contesto topografico. I rilievi limitano e/o deviano la corsa dei flussi, i bassi topografici ne favoriscono lo scorrimento. Nell'area di propagazione dei flussi la possibilità di sopravvivenza è molto scarsa, le strutture sono danneggiate in modo grave fino alla totale distruzione, le temperature elevate possono causare incendi anche di vaste proporzioni. L’ingresso in mare dei flussi può produrre vaporizzazioni di acqua su vasta scala con successive piogge di lapilli accrezionali (palline umide di cenere fine aggregata) e piogge fangose sottovento. La fase 3 può avere una durata da parecchie ore a giorni. Va rimarcato che nel caso di eruzioni di scala “grande”, durante questa fase si possono verificare collassi della struttura circostante la bocca eruttiva, fino a diametri della struttura in sprofondamento di alcuni chilometri, e dislivelli finali dell’ordine delle centinaia di metri.

Durante la fase 4 l’intensità eruttiva diminuisce in modo sostanziale. Il fenomeno principale consiste nell’emissione di gas e ceneri con formazione di una colonna eruttiva di altezza di pochi chilometri. Sottovento rispetto alla bocca l’atmosfera può essere carica di cenere fine e polveri, con visibilità ridotta; la permanenza all’esterno delle strutture può essere resa difficile a causa di difficoltà respiratorie e irritazione degli occhi (necessità di indossare maschere antipolvere e occhiali chiusi) Con il passare delle ore si possono depositare strati di ceneri umide contenenti lapilli accrezionali. L’accumulo delle ceneri umide al suolo ostacola utilizzo delle strade; l’uso dei tergicristalli per la pulizia dei vetri ne causa l’abrasione ostacolando o impedendo la visibilità. Il peso delle ceneri umide, eventualmente aggiunto a quello dei lapilli, può causare ulteriore sovraccarico ed eventuale collasso delle coperture. La deposizione di strati di ceneri umide può causare interruzione della corrente per corto circuito prodotto sugli isolatori delle linee aeree (si veda l’eruzione del vulcano Cordon-Caulle 2010 e suoi effetti in territorio argentino) (Fig. 7.3.1). Le ceneri umide possono infine contenere quantità significative di sostanze acide in grado di attaccare i metalli (corrosione).
Il verificarsi di una eruzione in aree idrotermali o in aree caratterizzate dalla presenza di acqua può presentare caratteristiche significativamente diverse da quelle sopra descritte. L’eventuale riattivazione di bocche in zone soggette a forte risalita di fluidi idrotermali può infatti essere preceduta dal verificarsi di esplosioni freatiche che immettono nell’atmosfera nubi cariche di vapore acqueo e ceneri ricche di minerali di alterazione idrotermale. Esplosioni di vapore e/o gas in sistemi rocciosi alterati dall’azione idrotermale determinano lo sbriciolamento di rocce friabili che tendono a rilasciare una grande quantità di materiali fini (soprattutto minerali argillosi). La deposizione sottovento di queste ceneri accentua i problemi di agibilità della rete stradale a causa del forte “effetto sapone” dei minerali argillosi umidi. Fenomeni di questo genere sono stati descritti durante la crisi eruttiva di Tavurvur (1994) nella caldera di Rabaul (Papua - Nuova Guinea). Eventi come quelli descritti a Rabaul nel 1994 potrebbero facilmente verificarsi per apertura di bocche eruttive nell'area della Solfatara ma anche nella conca di Agnano. La conca di Agnano, anticamente occupata da un lago, contiene al suo interno spessori importanti di sedimenti fini, incoerenti e intrisi d'acqua, che possono determinare scenari fenomenologici e di impatto simili a quelli ipotizzati per bocche che si aprano in aree idrotermali. Se la bocca eruttiva si apre a mare, a ridosso della costa o in un lago (Averno), la vaporizzazione dell’acqua superficiale porta a caduta precoce della cenere umida in conseguenza della condensazione del vapore. In caso di attività a mare o in prossimità della costa, un ulteriore problema è rappresentato dalla possibile generazione di onde di maremoto. Nel caso di forte vaporizzazione dell’acqua superficiale sono plausibili precipitazioni intense di pioggia fangosa con attivazione quasi contemporanea di colate di fango la cui importanza è legata all’estensione del bacino idrografico e all’intensità della precipitazione. Poiché il fenomeno della caduta di ceneri umide e fango comporta anche l’impermeabilizzazione del suolo, sono da attendersi anche importanti fenomeni di alluvionamento dei bassi topografici a causa della ridotta capacità di infiltrazione dell’acqua nel sottosuolo. La fase eruttiva 4 può avere durate da giorni a settimane, fino a mesi. I fenomeni sismici sono tipicamente sporadici e in fase di forte attenuazione, tipicamente profondi alcuni chilometri e di magnitudo bassa-intermedia.

La fase eruttiva 5 non è una costante nelle eruzioni flegree. L’emissione di lava, di solito in quantità modesta, si verifica quando l’apporto di magma verso la superficie prosegue a ritmo ridotto dando modo al gas di separarsi dal liquido magmatico. Questo processo di separazione della fase gas può portare alla formazione di un piccolo ammasso di lava viscosa (duomo) all’interno del cratere, o una piccola colata. Durante l’emissione di magma degassato si possono verificare occlusioni del condotto e accumuli di pressione che causano fasi esplosive molto violente. Un fenomeno simile si verificò nella parte finale dell’eruzione del Monte Nuovo nel 1538, alcuni giorni dopo l’apparente conclusione dei fenomeni esplosivi, e costò la vita a un gruppo che si era avventurato sul cono per una ispezione visiva del cratere. Pur non esistendo una sostanziale differenza nei fenomeni attesi e nella loro successione temporale tra gli eventi di scala bassa, media e grande, le differenze sono rilevanti in termini di impatto prodotto sul territorio, come illustrato nei successivi capitoli 7.4 e 7.5, e nel capitolo 9 sugli scenari di danno. Nel caso di eruzione di scala “molto grande”, la cui probabilità è circa 5 volte più bassa di quella per un evento “grande”, e minore dell’1% (si veda il cap. 7.2), la sequenza di eventi attesi può non differire sostanzialmente da quella per eventi di scala grande per quanto riguarda le fasi da 1 a 3 sopra descritte; tuttavia, a tale scala eruttiva si associa la possibilità di generare collassi calderici di grandi dimensioni, confrontabili con quelli che hanno generato la stessa caldera dei Campi Flegrei. Durante tali collassi è ipotizzabile l’attività eruttiva contemporanea da numerose bocche lungo il sistema di faglie che bordano la struttura di collasso, e la formazione di flussi piroclastici fortemente alimentati e in grado di percorrere distanze dell’ordine delle decine di chilometri. "

E come son bastasse: "Va infine ricordata l’eventualità della formazione di onde di tsunami, che possono generarsi a seguito di collassi calderici o anche nel caso in cui flussi piroclastici particolarmente energetici penetrino in mare."

Ma veniamo ora ad uno scenario inquietante: L'ERUZIONE MULTIPLA.

Potrebbero riattivarsi, contemporaneamente, varie bocche eruttive. E il piano di evacuazione deve tenerne conto.
Leggete qui.

"Eruzione multipla
 La possibilità di apertura di più bocche in contemporanea, o in un breve lasso di tempo, in siti anche lontani tra loro alcuni chilometri non è remota per le strutture calderiche. L’esempio recente più noto è quello della caldera di Rabaul (Papua Nuova Guinea) del 19 Settembre 1994, durante il quale si verificò l’eruzione contemporanea dai centri di Tavurvur e Vulcan, situati ai due estremi opposti del bordo calderico, a otto chilometri di distanza l'uno dall'altro. Anche ai Campi Flegrei, è stata accertata la contemporaneità eruttiva tra i centri di Solfatara e Averno situati a 5,4 km di distanza, 3800 anni fa (Isaia et al., 2009). Un secondo caso quantomeno sospetto di quasi contemporaneità o contemporaneità è costituito dalle eruzioni di Montagna Spaccata, Fondo Riccio e Concola i cui crateri sono allineati lungo la stessa frattura e i cui prodotti presentano età stratigrafiche coeve (Rosi e Sbrana, 1987). Poiché nella caldera di Rabaul il fenomeno della contemporaneità eruttiva si è ripetuto più volte, è prudente considerare la riattivazione contemporanea di più centri eruttivi all'interno della caldera flegrea come una eventualità all’interno degli scenari possibili. Il manifestarsi in contemporanea di attività eruttiva in bocche distanti tra loro alcuni chilometri comporta un incremento delle aree di impatto all’interno e all'esterno della caldera dei Campi Flegrei che l’organizzazione dei piani di evacuazione deve considerare. "

A questo punto, ci fermiamo qui, ritenendo che i cittadini flegrei e campani, in generale, dopo la lettura abbiano un quadro chiaro della situazione.

Ma vi domanderete: qual è la fonte del virgolettato e dei grafici e tabelle?

Sorpresa. La Nostra fonte (che indichiamo ai sensi della L.633/1941) è  il Dipartimento di Protezione civile che pubblica sul proprio sito web il documento del 31 dicembre 2012 a questa pagina (link a destra:
RAPPORTO FINALE (Confidenziale per il Dipartimento della Protezione Civile) Il Gruppo di Lavoro che ha prodotto questo rapporto è formato da: Giovanni Macedonio, Marcello Martini, Augusto Neri, Paolo Papale, Mauro Rosi, Giulio Zuccaro e da: Chiara Cardaci in rappresentanza del Dipartimento della Protezione Civile il Gruppo di Lavoro è stato inoltre coadiuvato da Domenico Mangione, del DPC Roma, 31 Dicembre 2012).

Qualcuno avrà già letto tutto questo, molti no.

Per Noi questa è divulgazione, semplicemente divulgazione di scenari eruttivi ed implicazioni redatte da eminenti vulcanologi e competenze su incarico della Protezione civile.
E invece leggiamo ancora che c'è personale INGV che va a questo o quel convegno in queste terre puteolane a sponsorizzare trivellazioni proprio in area Agnano-Pisciarelli con impianti invasivi a prelievo e reiniezione di fluidi per erigere centrali geotermiche private destinate a vendere l'energia elettrica prodotta.
Accade anche questo in Italia.
Tutto nel silenzio assordante del Dipartimento di Protezione civile, della Regione Campania e della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Un saluto a tutti.
Boscoreale, 1/11/2015
Giuseppe D'Aniello